Arcipelago

La Riserva Naturale Tevere-Farfa

 

Questa palude, definita “zona umida d’interesse internazionale” è situata sul Tevere alla confluenza del Farfa ed è diventata, da quando è protetta, un habitat ideale dove si raccolgono numerose specie di uccelli acquatici.

I capanni di osservazione che spaziano sulle zone paludose sono preziosi per i bird-watcher; ma la varietà di ambienti e di specie vegetali rendono l’itinerario emozionante e ricco di spunti di interesse per tutti.

La riserva è stata istituita con L.R. del 4 aprile 1979, n° 21; la zona paludosa è protetta come “area umida di importanza internazionale” secondo la Convenzione di Ramsar.

Dove?

Siamo nella media valle del Tevere, in prossimità della diga di Meana. L’itinerario si svolge nei territori comunali di Nazzano e Torrita Tiberina, in provincia di Roma.

Quando?

La Riserva è interessante da visitare in ogni stagione: primavera e autunno sono però i periodi migliori per la presenza di numerosissime specie migratorie. In pieno inverno, invece, si può osservare un buon numero di specie stazionarie e svernanti.

 

I tempi: per tutto il giro bastano 2 ore; escluso, naturalmente, il tempo che si vuol dedicare a osservare gli uccelli.

Come?

In treno. Il treno risulta il mezzo più conveniente per la vicinanza della stazione di Poggio Mirteto Scalo che dista meno di 1 km dall’inizio dell’itinerario. Linea ferroviaria FM1, Fiumicino aeroporto – Orte, vedere per gli orari Trenitalia. Il tempo di percorrenza va da un massimo di 60 minuti se si parte dalla stazione di “Roma Trastevere” a un minimo di 30 minuti dalla stazione di “Nuovo Salario”.

In automobile. Arrivando da Roma per la via Tiberina, già 5 o 6 chilometri prima di Nazzano si intravedono dalla strada la palude e i canneti della Riserva; occorre proseguire, superando Nazzano e Torrita Tiberina; a meno di un Km da Poggio Mirteto Scalo appena superato il ponte sul Tevere la prima stradina bianca sulla destra è l’inizio dell’itinerario. Da Roma i chilometri sono circa 65, un’ora circa di viaggio.

 

L’equipaggiamento. Bastano un paio di scarpe comode; se è appena piovuto i sentieri diventano fangosi ed è quindi meglio indossare degli stivaletti in gomma o scarponcini.

E’ consigliabile sempre portarsi il binocolo, macchina fotografica ed eventuali guide sulla fauna e sulla flora.

Cartografia: IGM 1:25000 144 IV SE “Monopoli Sabina”.

 

 

Il posto

Partendo dalla stazione di Poggio Mirteto Scalo si percorre la strada per Nazzano-Torrita Tiberina, che costeggia un tratto di ferrovia; dopo uno stretto cavalcavia, prima di superare il Tevere, si scende subito a sinistra imboccando la carrareccia per la Riserva.

Superate una cava di ghiaia e una centralina dell’Enel, si percorre un tratto di strada parallela al letto del Tevere. Tra i canneti è già possibile avvistare qualche volatile.

 

Si arriva alla prima area pic-nic. Proseguendo qualche centinaio di metri si può decidere di costeggiare il fiume prendendo il sentiero sulla destra e percorrendo tutta l’ansa del fiume oppure proseguire sulla strada bianca sempre diritti fino ad arrivare al Casale dell’Università Agraria di Nazzano, che è il primo che s’incontra; prima di arrivarci si attraversa una pianura formata da terreni alluvionali costituiti da ghiaia, sabbia e limo. 

Mentre si cammina su questa piccola piana, volgendo lo sguardo sulla destra verso Torrita Tiberina si scorge un ripido pendio bianco chiamato Ripa Bianca. Costituita da sedimenti marini, sabbia fine frammista ad argilla e a ciottoli nella parte vicina al fiume, la rupe è Stata modellata dal moto erosivo del Tevere e dall'azione combinata delle piogge e del vento.

Proseguendo nella lettura di questa porzione di territorio, partendo dalla sommità si possono notare tre di versi tipi di vegetazione: un bosco di lecci, il gramineto e infine la tipica vegetazione palustre accompagnata dal bosco ripariale.

 

Arrivati al casale lo si oltrepassa sulla destra, scendendo per una stradina fino a immettersi in un sentiero che porta direttamente al fiume. Questo sentiero, ricoperto nella bella stagione di vegetazione ma segnato dalle ruote dimezzi agricoli, attraversa una zona molto usata dagli allevatori per farci pascolare il bestiame (specialmente mucche e cavalli).

Arrivati al fiume si nota subito una piattaforma galleggiante: è un traghetto che viene azionato a mano tramite funi e argani e serve per il trasporto del bestiame e dimezzi agricoli da una parte all'altra del fiume,

 

D'estate lungo la sponda molte lenticchie d'acqua (o lenti d'acqua minori) galleggiano sulle acque prive di corrente; dalle foglie piccolissime (5-10 mm) di queste piante sembra partire direttamente una piccolissima radice, come un pennellino lungo pochi millimetri, che affonda nell'acqua. Sempre in acque calmissime fioriscono in estate varie specie di potamogeti: si presentano con foglie galleggianti coriacee e di aspetto lucente, ovali e con molte nervature parallele; l'infruttescenza è verde e sembra una piccola spiga.

 

Svoltiamo e costeggiamo il canneto. Qui il suolo, intriso d'acqua e ricco di sostanze organiche, costituisce un ambiente ricco di specie animali e vegetali. Il canneto è in questo tratto piuttosto folto: composto principalmente di tife e canne di palude, offre riparo ai piccoli uccelli che fissano il loro nido ai fusti delle canne; d'estate è tutto un brulichio e un andirivieni di pulcini e adulti, che si lanciano in continuazione richiami per non perdersi o per avvisarsi a vicenda di qualche predatore in arrivo.

 

La gallinella d'acqua è uno dei tipici rappresentanti degli abitanti del canneto; è un uccello di poche pretese, che si accontenta di habitat anche piccoli (insieme al germano reale la si vede spesso anche nei piccoli laghi formati nelle cave o addirittura nei parchi cittadini) purché siano ricoperti di vegetazione palustre. E' una presenza che non può sfuggire: è infatti poco mimetica e poco paurosa, e in più emette un particolarissimo penetrante verso che chi ha ascoltato una volta non può dimenticare.

E' piccola, con il piumaggio nero-blu e una caratteristica placca frontale rossa; anche il becco è rosso vivo, con solo la punta gialla. Vive in ambienti d'acqua dolce o salmastra; nuota tenendo la coda dritta e muovendo ritmicamente la testa; vola anche per brevi tratti, ma se viene spaventata preferisce "correre" sull'acqua a rifugiarsi tra le canne protestando.

 

Proseguendo sul sentiero si arriva a una vasca che funge da contenitore di scolo dei canali della piana precedente; questo microambiente acquatico, nel periodo che va da giugno a settembre, è quasi interamente ricoperto da uno strato vegetale che galleggia sulla superficie dell'acqua: sono piante che, grazie allo stato di quiete dell'acqua, riescono a svilupparsi senza nessun ancoraggio sul fondo.

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Tra le più comuni si potrà sicura- E' l' ambiente più congeniale per mente notare un cespuglietto rosa- la rana verde; tra gli insetti, oltre verde di qualche centimetro di dia- alle molte colorate libellule, si metro, con piccole squame carnose possono notare gruppi sempre in su un fusto molto sottile eramifi-' movimento di quei curiosi insetti cato: è l'azolla americana. Il marroncini che "pattinano" sulla morso di rana, altrettanto comune, superficie dell ' acqua con le zampe è invece riconoscibile per i fiori medie e posteriori, mentre con bianchi che spuntano tra le foglie quelle anteriori catturano il cibo: galleggianti nell'estate avanzata. sono gerridi.

Si passa il ponticello sopra al canale della vasca; dopo poco si sale per un passaggio suggestivo con a sinistra una parete di roccia di travertino e a destra una veduta del fiume.

Dalle fessurazioni della pietra leggiamo la sua storia: il travertino si forma con l'evaporazione dell'acqua satura di carbonato di calcio che, depositandosi, ha inglobato nei secoli sia organismi morti -come molluschi - sia parti di piante come piccoli rami, foglie, canne che hanno lasciato il proprio calco fossile impresso nella roccia.

 

Guardando bene verso il Tevere, con un po' di fortuna è possibile avvistare mentre nuota agilmente un grosso animale, molto simile al castoro, ma con la coda rotonda e non appiattita: si tratta della nutria, oggi notevolmente diffusa lungo le sponde del Tevere.

Alcuni di questi roditori (che sono di origine sudamericana, e quindi non centrano nulla con la fauna dei fiumi italiani) devono essere sfuggiti al triste destino riservato loro negli allevamenti di cui si ricavano le pellicce “di castorino”(curioso come nel momento in cui diventano commercialmente preziosi gli animali cambiano nome: la nutria diventa “castorino”, il coniglio “lapin”, il topo di bosco “rat musqué”, il tacchino “dindo…); evidentemente si sono trovati bene, riproducendosi e colonizzando l’arenile del fiume.

Rosicchia, con le zampe posteriori palmate, è in grado di allattare i piccoli stando in acqua (e a questo scopo ha le mammelle posizionate, saggiamente sui fianchi) e si accontenta di poco: germogli di canna e rizomi; si spinge anche nei campi coltivati alla ricerca di mais e grano.

 

A un certo punto il sentiero si divide in due. Svoltando a destra si arriva subito nel cuore della riserva, nei pressi di un capanno che domina la confluenza dei due fiumi. E’ senz’altro il posto dove si osservano meglio gli uccelli, e dove è inevitabile rimanere catturati dallo spettacolo della vita nella palude.

 

Una Riserva “costruita”. Il Tevere si presenta qui nel suo tratto più tranquillo: grazie alla costruzione, nel 1956, di una diga poco più a valle, il corso del fiume si è impigrito e le sue acque si muovono impercettibilmente.

Si è formato così, e una volta tanto per l’intervento dell’uomo, un ambiente naturale di grande varietà e ricchezza: nel bacino che si è formato hanno ricominciato a fermarsi gli uccelli di passo, il canneto che si è sviluppato è diventato un ottimo rifugio per i nidi e la zona intorno alle rive si è trasformata in una zona umida ricca di vita e di presenze animali e vegetali.

Nel 1979 è stata istituita la Riserva Tevere-Farfa: in tutto 700 ettari che comprendono il lago, formatosi prima della diga, e le zone umide attorno alla confluenza del Tevere con il Farfa.

La palude è popolata di presenze molto interessanti come gli aironi, che cacciano nelle acque poco profonde (alcuni di essi, quelli cenerini, sono stazionari), le garzette, le folaghe e le diverse specie di anatre di superficie o tuffatrici: le prime preferiscono le acque poco profonde  dove dragano il fondo immergendo la testa, mentre le tuffatrici, più piccole, si immergono completamente e remando con le zampe raggiungono anche notevoli profondità.

Tra le più comuni anatre di superficie ci sono il germano reale e la marzaiola, presente in grande numero in primavera; poi l’alzavola, la più piccola; e ancora il fischione, ben riconoscibile dal capo castano con una macchia gialla in fronte, che si ferma tutto l’anno.

Tra le anatre tuffatrici il moriglione è di sicuro il più numeroso. Ha il corpo grigio chiaro, il petto nero e il capo castano rossiccio; sverna nella riserva per poi ripartire in primavera.

La moretta la possiamo incontrare soltanto nel periodo delle migrazioni: la si riconosce per il colore bruno scuro della femmina. Il maschio invece è nero con una piccola cresta che ricade sulla nuca e ha i fianchi chiari.

Cormorani, aironi e gabbiani sono presenti quasi tutto l’anno nella Riserva: li si può vedere mentre frugano nel fango alla ricerca di una delle prede favorite, gli Anodonta. Questi molluschi d’acqua dolce, bivalvi, formano grandi conchiglie che possono raggiungere i 20 centimetri. D’inverno i cormorani fanno bella mostra di sé sui posatoi mentre, ad ali aperte, asciugano le piume dopo l’ultimo tuffo; il piccolo e coloratissimo martin pescatore, stazionario, nidifica in piccole tane sulle sponde del fiume.

Vista una situazione ambientale così favorevole, non possono mancare i predatori, come il falco pescatore e il falco di palude che sverna nella riserva: lo si può vedere mentre vola radente sopra le canne in cerca di preda.

Lasciato il capanno - che in caso di pioggia può diventare un utile riparo dato che è fornito di tetto - si ripercorre il piccolo tratto fino al bivio, poi si prosegue dritti fino a salire sulla collina. ottimo punto di osservazione sull 'intero bacino.

Osservando il paesaggio circostante si possono distinguere due diversi tipi di vegetazione: una boschiva, l’altra tipicamente palustre. Verso la riva sinistra c’è una fetta di bosco che tocca quasi l’acqua: è formato in prevalenza da farnie, carpini, alberi di Giuda e noccioli. Sono specie abbastanza frequenti nei boschi della Sabina, anche se in passato dovevano ricoprire in modo molto fitto la zona; il disboscamento operato un tempo per motivi agricoli, e oggi causato da incendi e dal cemento, ha ridotto ovunque nella regione la presenza di queste specie.

Sulla riva destra spiccano invece nelle zone umide i pioppi bianchi, mentre sul pendio la colorazione verde scuro ci segnala la presenza del sempreverde leccio. Un’altra quercia presente è la roverella.     

L’albero di Giuda (Cercis siliqustrum) è una pianta non comune ma frequente in Sabina cime arbusto (la si trova anche tra i muretti a secco lungo i confini dei campi); è facilmente riconoscibile da marzo a maggio per le bellissime infiorescenze pendule rosa direttamente attaccata al tronco, con foglie verde chiaro tondeggianti e cuoriformi.

Questa pianta è minacciata dalle ordinanze comunali che tendono a costringere i proprietari dei fondi a eliminare nel periodo estivo le siepi confinanti con le strade e fossi come misura preventiva antincendio.

Per il ritorno si ripercorre lo stesso sentiero dell’andata. Chi avesse fretta di tornare può accorciare proseguendo lungo la carrareccia utilizzata dalle guardie della Riserva, che permette di scendere fino al Casale dell’Università Agraria di Nazzano, da lì proseguendo si può ricongiungersi al percorso fatto all’andata.